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Gender equity, diversity & inclusion: un viaggio
che inizia dal rispetto per la persona
Intervista a Stefano Quaia, South East Europe HR Director di SAS
Tempo di lettura: 5 min
Assicurare un ambiente di lavoro che faccia stare bene le persone, indipendentemente dal genere, dalla generazione, dalle attitudini personali, richiede molta attenzione alle relazioni e capacità di ascolto. Solo così è possibile valorizzare l’unicità delle persone e fare in modo che ciascuno veda e senta l’azienda a modo proprio.
Un impegno costante che ha permesso a SAS di raggiungere un nuovo la traguardo: la Certificazione della Parità di Genere (Scopri di più nella pagina dedicata) che riconosce la capacità delle aziende di promuovere un ambiente di lavoro rispettoso, inclusivo e orientato verso le pari opportunità. Un traguardo conquistato attraverso l’attuazione di una serie di iniziative, il cui obiettivo finale è quello di far star bene le persone.
Ce ne parla Stefano Quaia, South East Europe HR Director di SAS.
All’interno delle organizzazioni aziendali si stanno da tempo mettendo in atto politiche di gender equity. Qual è il vostro percorso?
Partirei con il dire che, per volontà prima di tutto del nostro CEO e fondatore Jim Goodnight, la nostra strategia di inclusione non è solo un percorso di riconoscimento e accoglienza delle diversità ma anche, e soprattutto, una volontà di valorizzazione delle persone e delle loro peculiarità.
Una convinzione che SAS ha fatto propria al punto da aver realizzato una strategia in 7 pilastri per assicurare un modello di lavoro agile e flessibile affinché ciascuno possa trovare la propria dimensione nel rispetto di una conciliazione ottimale tra sfera professionale e privata (approfondisci in questo articolo i 7 pilastri della nuova cultura del lavoro di SAS).
La nostra è una realtà attiva nel settore IT, ambiente caratterizzato da una forte presenza maschile [secondo i dati dell'OCSE in tutti i Paesi membri dell’Organizzazione la presenza di uomini che lavorano come specialisti nel campo ICT è da tre a otto volte superiore alla presenza di donne nel settore]. Nella nostra sede italiana invece quasi il 40% delle persone è donna, una media più alta del resto delle aziende del settore [secondo i dati Eurostat, in Italia le donne impiegate in contesti e discipline STEM solo il 16%], indicatore a mio avviso che ci dice che siamo sulla strada giusta per garantire l’inclusione e la diversità di genere.
Ma la cosa su cui mi preme focalizzare l’attenzione è che tale risultato, che miriamo a migliorare ulteriormente, è frutto di scelte orientate alla meritocrazia e alla crescita personale. Nel leadership board Italia, fatto di 14 persone in ruoli dirigenziali chiave, 7 sono donne. Un altro risultato significativo raggiunto senza alcuna “forzatura” di quote rosa ma con un orientamento chiaro alle competenze e al merito quali basi su cui garantire una reale inclusione.
Siamo particolarmente impegnati anche sul fronte della diversità generazionale; poniamo molta attenzione nell’attrarre giovani talenti e garantire percorsi internazionali per la crescita professionale e personale. Su questo punto aggiungo una nota rilevante: negli ultimi anni è cambiata l’aspettativa delle persone che si candidano alle nostre posizioni e accedono alle varie fasi di recruiting, sono loro che si aspettano prima di tutto che ci siano scelte etiche di diversità e inclusione.
L’inclusione passa dall’equità e dalla valorizzazione delle diversità tenendo conto anche delle sensazioni personali. Le persone vanno accompagnate, sia nel loro ingresso in azienda, sia nei loro percorsi di crescita, sia lungo tutta la loro “vita aziendale”, e questo vale a prescindere dalla generazione di appartenenza.
Stefano Quaia
South East Europe HR Director di SAS
Per la prima volta nella storia, oggi nelle aziende convivono ben quattro generazioni (Baby Boomers, Generazione X, Millennials e Generazione Z). Una complessità tutt’altro che facile da gestire ma, al contempo, una grande ricchezza. In che modo facilitate la convivenza, la collaborazione, la crescita tra persone di differenti generazioni?
In SAS tutte le attività sono necessariamente svolte in team, non ci sono ruoli che consentono di lavorare solo individualmente. Il lavoro di squadra aiuta moltissimo a condividere dinamiche di governance (le regole di casa) e attitudini operative ma è fondamentale superare i pregiudizi, anche inconsci, e non mettersi mentalmente nella posizione “noi, loro”.
L’inclusione passa dall’equità e dalla valorizzazione delle diversità tenendo conto anche delle sensazioni personali. Le persone vanno accompagnate, sia nel loro ingresso in azienda, sia nei loro percorsi di crescita, sia lungo tutta la loro “vita aziendale”, e questo vale a prescindere dalla generazione di appartenenza.
È corretto ragionare in ottica di “profili aziendali”, anche per definire piani di crescita e valorizzazione, ma mai per cluster. L’attitudine a preferire lo smart working o la scelta di lavorare dall’estero, per esempio, non sono mai associabili a una clusterizzazione generazionale o di genere, possono però essere favoriti da determinati profili aziendali. È questo ciò di cui vogliamo tenere conto noi, evitando anche bias che vedono, a titolo di esempio, le donne più propense al remote working per conciliare meglio la vita lavorativa con gli impegni familiari. Preferiamo concentrarci sul bilanciamento dei bisogni personali con le necessità implicite in ciascun ruolo aziendale, sempre in quell’ottica di creare un clima e un ambiente di lavoro favorevoli, capaci di far sentire bene le persone.
Naturalmente, questo significa anche favorire dialogo e condivisione intergenerazionale. Tra i nostri programmi ci sono percorsi di “mentorship” sia per aiutare l’on-boarding delle persone, sia per rendere fertile il contesto lavorativo, invitando lo scambio di conoscenza e competenza non più solo dalle seniority verso le persone più giovani ma anche nella direzione opposta, permettendo a chi è da più tempo in azienda di aprirsi al nuovo e conoscere e comprendere ciò che di valore hanno da portare e condividere le generazioni più giovani.
Qual è il “nuovo” ruolo della Direzione HR per assicurare che l’inclusione assuma un significato di senso positivo e di valore per tutte le persone?
Il ruolo dell’HR è aiutare le persone a capirsi e mettersi in ascolto, anche con attività e scambi informali per favorire un clima di condivisione e apertura. Sono tante le iniziative concrete che abbiamo in cantiere o che abbiamo già intrapreso. Solo per elencarne alcune, diffondiamo una cultura inclusiva attraverso attività di sensibilizzazione sulle differenze culturali, di genere e sulle micro-aggressioni che possono verificarsi in azienda. Per questo motivo, organizziamo eventi ad hoc con speaker esterni specializzati sul tema. (evento per manager con Fondazione Libellula - Colazione inclusiva con le specialità delle diverse tradizioni - Training sui bias e sulle differenze culturali).
Stiamo inoltre lavorando per ottenere la Certificazione sulla Parità di Genere promossa dal Dipartimento per le Pari Opportunità in linea con il PNNR che mira a promuovere una maggiore inclusione delle donne nel mercato del lavoro: strumento essenziale per migliorare la coesione sociale e territoriale, nonché di fondamentale importanza per la crescita economica del nostro Paese;
Abbiamo creato una task force di volontari che riflettono e promuovono attività interne per la valorizzazione delle diversità in azienda legate al genere, alla generazione, alla provenienza geografica ecc.
Attraverso la collaborazione con Elis (realtà no-profit che si rivolge ai giovani e alle imprese) e SheTech (la community che supporta la parità di genere nel mondo tech e digitale) e grazie alle nostre ambassador aziendali ci impegniamo a portare esempi di leadership femminile in un contesto TECH anche nelle scuole medie inferiori e medie superiori.
Questi sono solo alcuni dei molti esempi che ci vedono impegnati in questo nostro continuo sforzo a promuovere benessere, condivisione, e contaminazione sia all’interno che verso l’esterno dell’azienda. Come dipartimento Risorse Umane dobbiamo avere la capacità di intercettare i segnali per capire - per tempo - se le persone stanno bene, se sono cambiate le condizioni, se ci sono fenomeni che non controlliamo.
Qualche anno fa abbiamo iniziato a definire dei KPI per capire e monitorare la nostra strada, nell’ottica del miglioramento continuo. Oggi stiamo affinando gli indicatori e rendendo l’analisi e il monitoraggio a livello più granulare, con una forte attenzione alla leadership inclusiva. L’obiettivo è aiutare i team leader e le persone in posizioni manageriali e dirigenziali ad essere “champions”, ossia ad essere in prima linea per assicurare che le nostre politiche di inclusione siano effettivamente estese in tutte l’organizzazione aziendale, sia nelle relazioni interne, sia nei rapporti esterni con colleghi e colleghe di altri Paesi, nonché con clienti e partner.
Le relazioni internazionali, per esempio, richiedono particolari attenzioni verso la comunicazione tra culture divere e i differenti modi di lavorare e relazionarsi. È compito di tutte le persone, a partire dai leader, favorire una inclusione vera... che è poi la vera leva per sentirsi bene in azienda.
31 ottobre 2023
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