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Sostenibilità Digitale, cambiare il mondo e ridefinire il futuro con l’uso sostenibile delle tecnologie digitali
Intervista a Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale
Tempo di lettura: 4 min
La trasformazione digitale non è un semplice percorso di innovazione tecnologica, è una vera e propria “rivoluzione di senso”, di quelle che ridefiniscono cosa ha davvero senso fare per garantire un futuro migliore a persone, ambiente, società, economia.
La sostenibilità digitale indica il ruolo delle tecnologie per lo sviluppo di un futuro sostenibile, ma al contempo racchiude anche il senso delle tecnologie stesse, ossia la direzione da prendere perché siano sviluppate sulla base di criteri di sostenibilità.
Ne abbiamo parlato con Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale.
Qual è oggi il livello di maturità delle aziende in termini di sostenibilità e quale dovrebbe essere il giusto approccio che le aziende dovrebbero adottare?
La situazione delle aziende è parecchio variegata ma si può analizzare su due dimensioni, quella che interessa le grandi aziende e quella legata alla situazione delle PMI. Per molte di queste ultime, che di fatto rappresentano il principale tessuto d’impresa italiano, la sostenibilità è qualcosa che fa ancora molta fatica a radicare in termini di effetti concreti sul business e sui modelli organizzativi. Questo perché il mercato e gli stakeholder spesso vivono la sostenibilità ancora come qualcosa di “on top” rispetto al modello di business (qualcosa messo sopra ma non pienamente integrato nel business dell’azienda).
Ci sono però altre realtà, sempre PMI, che sono “sostenibili by default”, cioè che implementano e integrano la sostenibilità nel modello di business e ne fanno una leva di valore, che sarebbe il modo corretto di approcciare la sostenibilità.
In generale, le aziende più virtuose sono quelle che hanno compreso che la sostenibilità è tale solo se entra nella value chain e ridefinisce il modello di business, generando chiari vantaggi economici e di accettazione da parte dei consumatori, degli stakeholder e in generale del mercato. Stefano Epifani Presidente Fondazione per la Sostenibilità Digitale
Anche nelle aziende più grandi non mancano esempi virtuosi ma la situazione è ancora tutt’altro che rosea; si passa dal greenwashing e digitalwashing di moltissime realtà a quelle che “confondono” la sostenibilità con la Corporate Social Responsibility (CSR) che sono due cose ugualmente nobili ma diverse dal punto di vista formale; la sostenibilità incorpora la CSR, ma non è vero il contrario.
In generale, le aziende più virtuose sono quelle che hanno compreso che la sostenibilità è tale solo se entra nella value chain e ridefinisce il modello di business, generando chiari vantaggi economici e di accettazione da parte dei consumatori, degli stakeholder e in generale del mercato.
Questo accade quando le aziende smettono di considerare la sostenibilità come un mix di obblighi normativi e necessità di comunicazione e iniziano, invece, a cambiare profondamente dall’interno integrando la sostenibilità nel business.
Certo è che un simile risultato richiede una profonda analisi dei processi di business per capire come la sostenibilità può e deve essere integrata nei diversi anelli della catena del valore, il che significa affrontare un percorso strutturato e non semplice.
Come si inserisce il digitale in questi percorsi e perché si parla di Sostenibilità Digitale?
Innanzitutto, le aziende devono definire degli obiettivi di sostenibilità ma per evitare, come anticipato, che siano messi “on top” e scollati dal business, devono chiedersi fin da subito quali anelli della propria catena del valore sono toccati da tali obiettivi di sostenibilità e come il digitale possa impattare sulla rivisitazione dei processi.
Il primo passo è capire come funzionano davvero (cosa che sembra banale a dirsi ma molto meno a farsi in concreto) per poi verificare quali sono gli impatti di tali processi sugli obiettivi di sostenibilità che l’azienda stessa intende darsi. Una volta fatto questo, bisogna capire in che modo rimodulare gli uni e gli altri (processi e impatti) anche in funzione dei vantaggi (e degli impatti) che può portare la tecnologia. Ecco perché è importante parlare di Sostenibilità Digitale, perché se da un lato le tecnologie possono accelerare determinati percorsi di cambiamento (e quando si tratta di sostenibilità dobbiamo ragionare in ottica di trasformazione della value chain), dall’altro è importante mantenere fermo l’ago della bussola sulla sostenibilità.
È incoerente avere Data Center Green e poi sfruttare i dati degli utenti per il proprio business “in barba” al GDPR, questa non è sostenibilità. Cavalcare l’hype per comunicare scelte green in chiave digitale quando la sostenibilità non entra davvero, come già ribadito, nell’intera catena del valore dell’azienda è solo greenwashing e digitalwashing, è mascherare dietro una apparente sostenibilità ambientale la mancanza totale di un modello di sostenibilità sociale ed economica effettivo.
Come la trasformazione digitale può impattare sulla società e sulle persone ed essere quindi “motore” di sostenibilità?
Io sono abbastanza convinto che in realtà non si possa parlare davvero di sostenibilità se la si scinde in sostenibilità ambientale, economica, sociale. È un’unica cosa e riguarda la necessità di bilanciare tre leve, altrimenti diventa ambientalismo, diventa ecologismo ma non sostenibilità.
Dal punto di vista della Sostenibilità Digitale, con la pandemia iniziata nel 2020 abbiamo fatto un grandissimo salto nel futuro. Abbiamo visto il buono e il cattivo delle tecnologie e di cosa possono abilitare anche in ottica di sostenibilità. Ora dovremmo essere così saggi da riuscire a tornare indietro salvando le cose buone per abilitare davvero, oltre gli slogan, percorsi di miglioramento della qualità della vita delle persone, con effetti positivi diretti sull’economia e sulla società. Ci piaccia o no, le tecnologie hanno un ruolo centrale in questo cambiamento.
Sempre guardando alla tecnologia, come può supportare il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 e dare quindi “forma” al concetto stesso di Sostenibilità Digitale?
L’Agenda 2030 è strutturata su diversi livelli di complessità e non è stata pensata per il raggiungimento lineare di ogni singolo obiettivo; la numerazione stessa non definisce un ordine di priorità, non è che il concetto di pace e giustizia sia più importante o prioritario rispetto ad altri. I punti dell’Agenda 2023 sono numerati sulla base di un criterio di propedeuticità: noi sappiamo che, pur dovendo perseguire tutti i 17 obiettivi, alcuni sono abilitanti degli altri.
La tecnologia rappresenta l'unico strumento che abbiamo per orchestrare un cambiamento sistemico, che agisca su scala globale. Perché è evidente che noi possiamo fare tutti gli sforzi che vogliamo per passare dal dall'automobile a benzina a quella elettrica, ma se non ci preoccupiamo del fatto che anche gli altri paesi del mondo facciano lo stesso, il nostro sforzo sarà totalmente inutile. Non solo, se non ci preoccupiamo degli impatti globali di determinate scelte (pensiamo alle conseguenze ambientali, sociali ed economiche che genera l’industria legata alle batterie al litio, solo per fare un esempio), l’idea stessa di sostenibilità sarà del tutto inefficace.
È inutile intraprendere una crociata per contrastare le emissioni di CO2 solo da una parte del mondo, se una larga parte del resto del mondo non percepisce ciò come una priorità e, avendo un problema diverso (quello di sopravvivere), non si preoccupa di fare altrettanto.
Questo non vuol dire che non dobbiamo preoccuparci di abbattere le emissioni climalteranti, ma che dobbiamo farlo anche attuando quelle politiche socio-economiche che portino tutto il mondo a fare altrettanto. Né possiamo pensare che il modo in cui vengono estratte le materie prime in parti del mondo che percepiamo come lontane non sia – dal punto di vista dei diritti umani – un nostro problema.
Tale complessità può essere governata solo mediante l’uso corretto delle tecnologie. È così che contribuiscono all’Agenda 2030.
Cosa può fare/come può contribuire il singolo cittadino?
Il problema è la non piena conoscenza e consapevolezza degli impatti delle nostre scelte; spesso pensiamo di essere sostenibili e di fare scelte responsabili ma non abbiamo la visione d’insieme. Bisogna perciò agire su tre livelli:
- favorire una sempre maggiore conoscenza affinché si generi consapevolezza nelle persone;
- la consapevolezza abilita e “nutre” competenze e capacità;
- dalle competenze nascono i comportamenti (che innescano poi il cambiamento).
Quando il livello di consapevolezza è scarso, non si formano competenze sufficienti per innescare scelte e comportamenti che possono avere un impatto di cambiamento. Faccio un esempio concreto: spesso ci battiamo per un uso più consapevole delle risorse idriche (per esempio utilizzando meno acqua per cucinare) ma poi acquistiamo capi del Fast Fashion senza capirne gli impatti, e “consumando” con una maglietta quello che avremmo risparmiato – letteralmente – in centinaia di cene.
Rimanendo sul binomio sostenibilità e digitale, oggi la dialettica prevalente degli ambientalisti punta il dito contro le tecnologie, colpevoli di tutti i mali ignorando del tutto quali sono gli impatti positivi del digitale, anche (e proprio) in chiave di sostenibilità.
Il mondo si cambia una persona alla volta con consapevolezza, competenze, comportamenti, senza avere paura delle tecnologie ma comprendendone le potenzialità e usandole bene.
Scopri come SAS collabora con la Fondazione in questo intervista a Mirella Cerutti, Regional Vice President, SAS
SAS entra a far parte della Fondazione per la Sostenibilità Digitale
| Tech Economy 2030
11 settembre 2023
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