Charles De Gaulle disse “Come si può governare un paese che ha duecentoquarantasei varietà differenti di formaggio?”. Traslando il suo aforisma nel tessuto industriale italiano verrebbe da chiedersi: “Come si può introdurre l’industria 4.0 in un paese che ha 367.358 imprese manifatturiere?”.
Ovvero la varietà, la frammentarietà del panorama manifatturiero italiano possono essere un limite? E le dimensioni? Sul totale solo lo 0,4% sono grandi aziende, con un numero di addetti maggiore di 250, il resto è spartirsi fra medie (2,5%), piccole (15,6%) e micro imprese (81,5%). [Registro Statistico delle Imprese Attive (ASIA) ISTAT]
Ma perché sto dicendo che frammentazione e dimensioni possono essere un limite? Perché questo risulta in una recente indagine dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi della School of Management del Politecnico di Milano:
E il direttore dell’Osservatorio Claudio Rorato, sostiene che “l’imprenditore, per la sua stessa estrazione, prevalentemente tecnica, si concentra più sul prodotto che sulla gestione e la programmazione, più sulla quotidianità che sulla pianificazione e la gestione del cambiamento”. [Corriere delle Comunicazioni]
E, secondo quanto dichiarato dalle imprese, il 60% alloca meno di 10.000 euro all’anno per le dotazioni digitali (escludendo le spese per l’hardware). [Osservatorio American Express-Bva Doxa]
D’altronde abbiamo riscontro empirico dei dati di queste ricerche ogni volta che incontriamo aziende e affrontiamo il tema degli investimenti per la transizione 4.0. Si parla di manutenzione predittiva, di diagnostica remota, di allarmi preventivi, di rilevamento automatico della qualità, di aumento delle perfomance, il tutto supportato da data analytics e intelligenza artificiale: le risposte sono quasi inevitabilmente di questo tenore:
“Eh ma non abbiamo il budget…”
“Eh ma non abbiamo tempo e risorse per un progetto di quella portata…”
“Eh ma non abbiamo le competenze…”
“Eh ma non abbiamo i dati…”
“Eh ma non abbiamo le macchine connesse…”