Possa tu vivere in tempi interessanti, recita un detto cinese. Oggi chi dirige il marketing di un’azienda di sicuro si sente coinvolto da questa considerazione. Innovazione tecnologica inesorabile, cambiamenti epocali nei comportamenti dei clienti, la grande accelerazione digitale portata dalla pandemia hanno generato la tempesta perfetta della funzione marketing.
Ci si aspetta che sia il marketing, “la voce del cliente in azienda”, a portare innovazione nei modelli di fruizione e di una costante ottimizzazione della UX. Una user experience continuamente confrontata ad altre esperienze eccellenti a portata di smartphone, ma al tempo stesso una user experience che deve continuare a generare un adeguato ritorno negli investimenti di brand e performance, in un mercato pubblicitario concentrato (e non certo a buon mercato) e in cui l’attenzione del consumatore è uno sfuggente unicorno.
Ci si aspetta inoltre che sia il marketing a dettare l’agenda sul fronte della P di Prodotto, in cui la generazione implacabile di nuovi modelli di business abilitati dal digitale scardina decennali equilibri, in cui la richiesta di sostenibilità non solo di facciata diventa pressante da parte del consumatore. E sempre dal marketing ci si aspetta il confronto con una competizione ormai allargata, non solo geograficamente, ma che arriva anche da altri settori da parte di brand che, partendo dal loro rapporto privilegiato con il cliente basato su continuità e dati comportamentali, allargano il proprio spettro di azione.
A ciò si aggiunge un circolo virtuoso di regolamentazione e consapevolezza rende le persone sempre più consce che i propri dati hanno valore, costringendo il marketing a stringere un patto con il proprio cliente: adeguato riconoscimento, rilevanza, personalizzazione in cambio di informazioni preziose.
Ho avuto la fortuna di discutere questi temi con alcuni marketing e communication manager di importanti aziende italiane in una tavola rotonda organizzata da SAS e, in questo laboratorio privilegiato, ci siamo confrontati per tirare fuori degli insight su come vediamo la prossima navigazione in questa tempesta perfetta. Dalla discussione sono emerse quelle che possono essere le stelle che guideranno le nostre navi:
- Il consumatore al centro non deve essere solo uno slogan vuoto, è la via per rimanere rilevanti sul mercato. Il suo viaggio, il customer journey deve essere la strada per ripensare la comunicazione digitale e non, e il modo più preciso per conoscerlo è l’uso del dato. Capire la successione delle sue decisioni può servire per ri-equilibrare la spesa tra awareness più generalista e messaggi più mirati, ma anche a servire meglio il cliente anche nei suoi tratti più valoriali.
- Essere pronti ad adattare in tempo reale l’offerta a interessi, momenti, modalità preferite degli utenti non è più un optional, ma una necessità. Se non si è in grado di coglierlo, il “momento della verità” potrebbe non ripresentarsi.
- Realizzare un equilibrio tra necessità di essere veloci, personalizzati, scalabili nella comunicazione senza che questo vada a scapito di empatia, umanità e selezionati momenti del journey nei quali l’human touch è ancora fondamentale.
- Non è la quantità del dato ad essere vincente, ma la capacità di interpretarlo e governarlo. È sempre più importante per il marketing manager avere sintesi negli insight e modalità agili per agire velocemente sui messaggi lungo il journey.
- La fine del funnel non è la fine del journey. In un ambiente competitivo e in cui il passaparola è veloce ed efficace, la gestione del cliente acquisito è ancora più fondamentale. In questi ambiti il potere delle app per la relazione continuativa va al di là di ogni più rosea previsione: il mobile ci porta nelle tasche del cliente, e l’esperienza continuativa di contatto porta a conoscere il cliente in modo profondo e tramite i dati aiuta a integrare meglio anche il punto di contatto fisico.
- Essere omnicanale non significa “pressare il consumatore” perché usi tutti i touchpoint potenziali, ma lasciarlo libero. Dobbiamo fare molta attenzione perché il prospect che si sente “pressato”, pedinato da vicino dal brand che cerca di prendere il controllo della relazione, sviluppa velocemente una reazione opposta.
Sul futuro, le idee dei manager convergono su alcuni temi:
- Le prossime generazioni saranno ancora più low-touch, e si affideranno allo smartphone per svolgere la maggior parte dei task.
- Anche i data point ora non connessi convergeranno: la Connected TV e le sue opportunità di personalizzazione e integrazione sono la chiave per completare il journey dei dati.
- Unbundling: chi possiede il contatto e i dati del cliente può vendere praticamente quasi ogni prodotto disponibile. D’altro canto, “i produttori” potranno distribuire prodotti in momenti, modalità e modelli molto diversi da quelli attuali.
- La frammentazione sul mondo dei media, con l’affiancarsi di canali “istituzionali” a nuovi creatori dal basso, che possono però influenzare notevolmente il mercato.
In conclusione, il futuro potrebbe essere definito più dai prodotti che cercheranno consumatori (giusti) che dai consumatori in cerca di prodotti (giusti). Per fare che ciò accada, la bussola è il dato: i marketer dovranno realizzare un equilibrio complesso, in cui il dato sia al centro delle attività, ma in cui non venga meno l’empatia che i consumatori connessi si aspettano dai brand oggi, nel rispetto delle crescenti esigenze di privacy, strutturazione di processi e piattaforme agili, efficaci ed efficienti per poter guidare non solo la propria azienda verso i risultati attesi, ma anche per rendere la funzione marketing l’interlocutore privilegiato dei processi di innovazione in azienda.