Il concetto di imprenditorialità è spesso legato all’idea di “mettersi in proprio” e poche volte viene visto come un’attitudine personale.
Spesso in azienda mi trovo davanti a dei veri e propri talenti che non riescono però a far emergere in toto le loro potenzialità: il compito del leader diventa quindi quello di riuscire a ispirarli e far capire che possono essere imprenditori anche all’interno di un’azienda strutturata, creandosi degli spazi di espressione.
Ho avuto il piacere di parlarne con Roberto Battaglia, Transformation Lead - IMI Corporate & Investment Banking - Intesa Sanpaolo, in un confronto sul tema dell’“intrapreneurship”, su cosa significa essere innovatori e su come riuscire ad allenare il capitale umano di ognuno di noi.
Ciao Roberto, raccontaci di te. Come arrivi al libro “Startupper in azienda” e perché hai deciso di scriverlo?
Ma è anche un punto di partenza (oggi potremmo anche dire di ripartenza) che mi auguro possa costituire un utile contributo concettuale, metodologico e pratico da condividere con una comunità allargata, composta da imprenditori, manager, professionisti e, in senso più ampio, persone interessate a migliorarsi e migliorare le organizzazioni e l’ecosistema in cui operano.
Parli spesso di ispirare quello che ancora non c’è, come hai fatto nella tua carriera a mettere in pratica questo mantra? Parli di grandi innovatori che lo hanno fatto, quali sono i tratti comportamentali e manageriali che li accomunano?
Semplicemente non accontentandomi di quanto mi è sempre stato chiesto di fare (dopo aver fatto al meglio quanto mi veniva chiesto di fare). Farsi "gli affari degli altri" nelle organizzazioni è un po' rischioso; l'importante è consentire al prossimo di fare altrettanto con noi.
E poi facendomi continuamente domande, giocando a connettere elementi apparentemente inconciliabili, imparando a sorprendermi senza dare per scontato nulla. Essere degli specialisti infatti - soprattutto se riconosciuti - a volte induce alla miopia.
Non so se questi siano i tratti dei grandi innovatori. Di sicuro ci sono tre parole su tutte che li contraddistinguono: il coraggio, la curiosità e l'apertura.
Il coraggio e la tenacia nel battere strade inesplorate, spesso impervie, talvolta rischiose.
La curiosità da allenare e alimentare da una "dieta personale" fatta soprattutto di nuovi stimoli che possano darle nuove direzioni
L'apertura all'inaspettato che può produrre effetti sorprendenti. Qualcuno la chiama serendipity.
Nel tuo libro esponi 20 tesi che spiegano l’intrapreneurship, ne esiste a tuo avviso una più importante delle altre, e perché?
Sono ovviamente tutte importanti in egual misura, ma ce n'è una (la numero tre) che mi appassiona più delle altre perché mette in discussione il concetto di innovazione come spesso siamo abituati a considerarlo: "ci innamoriamo del problema che stiamo risolvendo, non di una soluzione affrettata".
Nel mondo di oggi, freneticamente orientato a consegnare una prestazione in tempi brevi, questo principio rappresenta una lezione interessante che ci chiede di abbandonare le certezze che spesso ci condizionano e di non smettere di esplorare anche quando conosciamo (o pensiamo di conoscere) la mappa.
Quale dei 6 dilemmi è stato per te più complicato da idealizzare? Ti va di raccontarceli?
Sono tutti discretamente complicati; sono formulati in modo talvolta provocatorio e in alcuni casi sollevano dibattiti interessanti (per tornare alla prima domanda). Ve li ripropongo con il mio punto di vista:
Si può “allenare” il capitale umano?
Si può certamente allenare ma, seguendo la metafora sportiva, lo stimolo allenante (specie negli sport di fondo) è nettamente più efficace quando si introducono delle variazioni di ritmo o di carico.
In altre parole il capitale umano si può migliorare in due modi (che possono anche coesistere): formandolo o sfidandolo. Sono del parere che quest'ultimo stimolo sia del tutto più incisivo.
Alcuni autori sostengono che non esista il talento ma che il successo sia solamente conseguenza del duro lavoro. Cosa pensi a riguardo?
Seneca diceva che la fortuna non esiste; esiste il momento in cui il talento incontra l’occasione.
Il successo, come la fortuna, hanno bisogno di un'occasione che non è mai del tutto generata dal caso.
Nel libro sostengo che creare l’occasione sia una responsabilità. Fatta di lavoro duro, perseveranza, errori e lezioni apprese, ma anche "vista strabica", irrequietezza e impertinenza.
Uno dei valori che ci guidano nel nostro lavoro quotidiano in SAS è quello della curiosità. Qual è la tua interpretazione di questa parola? Che cos'è per te la curiosità?
La curiosità per me è desiderio di vedere oltre, è fame di sapere, è un integratore intellettuale..
Come la vorrei interpretare? In un celebre film di quasi sessant'anni fa (Jules e Jim) il regista François Truffaut fa dire a uno dei personaggi: "l'avvenire è dei curiosi di professione". Ecco, al tempo del lavoro che non è più quello di una volta far diventare la curiosità un mestiere, per quanto possa sembrare paradossale, è una sfida affascinante.
Da questa chiacchierata emergono, a mio avviso, tre spunti di riflessione: