Tutti quegli anni prima, dal suo ufficio di Wall Street, Sara non avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe stata a capo di un’azienda di enorme successo specializzata in AI, inserita da Time tra le cento aziende più influenti del 2021. All’epoca, non capiva che cosa significasse “essere digitali” e non aveva nemmeno il know-how necessario per capirlo. Ma è stata capace di vedere che il mondo intorno a lei stava cambiando, intuendo che per fare la differenza, per essere appagata a livello personale e professionale e per avere successo in un’era di cambiamenti repentini, doveva raggiungere una valida alfabetizzazione digitale. Durante il percorso ha appreso le basi dell’informatica, ma anche come aggregare i dati, come sviluppare le relazioni tra i dipendenti in due continenti diversi e come strutturare un’azienda in cui le persone possano prendere decisioni basate su dati in rapida evoluzione. Ma il momento più importante nel viaggio di Sara – per sua ammissione, una “profana” – è stato ben prima che iniziasse ad acquisire le competenze tecniche. Fin dal principio si è impegnata ad acquisire un Digital Mindset. Il resto è venuto da sé.
Questa citazione, contenuta nel libro Digital Mindset scritto dai ricercatori Paul Leonardi (UC Santa Barbara) e Tsedal Neeley (Harvard Business School) e che ripercorre la storia della CEO di Gro Intelligence Sara Menker, rappresenta una metafora estremamente contemporanea.
Il contesto sempre più AI-Driven dove viviamo ci pone infatti davanti a un duplice percorso di senso e crescita, che interseca competenze “hard” e “soft”.
Dal primo punto di vista, è indubbio che - chiunque noi siamo - siamo chiamati a diventare sempre più pratici di tematiche come algoritmi, intelligenza artificiale e dati. I percorsi attinenti alle discipline Science, Technology, Engineering and Mathematics (STEM) si diffondono e, nonostante tutto, rimane urgente il gap di competenze su queste tematiche.
Da una prospettiva più soft, esiste invece la necessità di capire il digitale, affinando e affilando un Digital Mindset che risulterà sempre più decisivo per essere buoni manager, cittadini, consumatori, genitori.
Elisabetta Risi, Ricercatrice all’Università IULM di Milano, parla non a caso di Vite Datificate (che è anche il titolo del suo ultimo, interessante libro) citando le ricerche e gli studi sull’Algorithmic Consumer. Un consumatore sempre più orientato dai dati e dagli algoritmi per le proprie scelte in cui ciascuno di noi può riflettersi senza troppo sforzo, caratterizzato da un processo decisionale denso di intelligenza e tecnologia.
Un racconto diffuso sull’importanza del Digital Mindset
Dunque, adottare un corretto Digital Mindset in questo scenario di organizzazioni algoritmiche e di data economy diventa di rilevanza cruciale. Significa comprendere la corretta “forma” del digitale, riuscendo ad assimilare una serie di informazioni che ci permettono di avere successo nell’ambiente digitale/digitalizzato.
Già, ma da dove partire?
Si dice che la trasformazione digitale parta dalle persone: ecco la ragione per cui ho deciso di non dare subito io una possibile risposta, ma di chiedere a tre professionisti e autori di livello nel campo della strategia digitale, del digital wellbeing e della comunicazione contemporanea. Parlo rispettivamente di Mauro Lupi, Alessio Carciofi e Mariagrazia Villa, di cui riporto altrettante prospettive sotto sottolineando già alcuni pensieri che saranno utili dopo.
[1] T-shaped è una metafora utilizzata per descrivere le abilità delle persone di tipo trasversale. La linea orizzontale della T simboleggia l’ampiezza delle conoscenze generali o soft skills. Possiedono, infatti, una vasta esperienza in diverse discipline. La linea verticale della T rappresenta la profondità delle hard skills, cioè le conoscenze specialistiche nel loro campo.
Ecco dunque 10 linee guida per orientare le scelte personali e professionali.
Semplici, concrete, per stimolarci a fare sempre meglio in una ipotetica Digital Gym che prepara al domani. O meglio, all’oggi.
Buon allenamento! 💪