Intesa Sanpaolo: come i dati di Pianificazione e Controllo diventano conoscenza di valore per il business
Intervista a Massimo Modolin, Senior Director, Direzione Pianificazione e Controllo di Gestione di Gruppo, Intesa Sanpaolo
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All’interno del Gruppo Intesa Sanpaolo, la struttura che dirige Massimo Modolin, Senior Director, Direzione Pianificazione e Controllo di Gestione del Gruppo bancario, ha la responsabilità su tutto ciò che riguarda il presidio del dato gestionale per cliente/contratto e delle metodologie ad esso collegate.
Per capire come si fondono cultura data-driven e innovazione all’interno di questa struttura e di come queste contribuiscano attivamente a generare valore per il business, abbiamo rivolto alcune domande a Massimo Modolin
Si potrebbe affermare che il successo di un'impresa dipenda dall'importanza che viene attribuita alla cultura del dato?
Direi proprio di sì. Siamo seduti su una miniera immensa di dati e di informazioni. Conoscere questi dati, sapere dove sono, come estrarli, come utilizzarli e fare in modo che abbiano valore e possano essere accessibili e disponibili sotto forma di informazioni e conoscenza utile al business è una sfida coinvolgente che, posso dire con un certo orgoglio, nella nostra azienda è stata vinta da tempo a più livelli.
Solo nella struttura dedicata alla Pianificazione e Controllo, per esempio, siamo circa 250 persone con competenze differenti, da quelle più tecniche a quelle più funzionali e di analisi, accomunate da una cultura del dato diffusa e ormai radicata nel nostro modo di lavorare. È così anche per i colleghi dell’IT, e anche per le Direzioni e funzioni di business che “godono” dei dati in modalità differente, attraverso la conoscenza che essi generano.
Per quanto riguarda la mia struttura, posso certamente spingermi a dire che tale cultura è ormai integrata nel nostro DNA.
Performance e produttività si traducono con flessibilità; quella che abbiamo raggiunto nella nostra struttura proprio grazie alle caratteristiche della tecnologia SAS in termini di potenza, prestazione, semplicità e facilità di utilizzo. La flessibilità e la dinamicità che abbiamo, infatti, diventano gli elementi con i quali riusciamo a essere più produttivi, e anche proattivi e promotori di innovazione. Massimo Modolin Senior Director, Direzione Pianificazione e Controllo di Gestione di Gruppo Intesa Sanpaolo
Come promuovere la cultura del dato in azienda? Quali sono i passi fondamentali per costruire una data-driven company?
Trattandosi di un patrimonio immenso di dati, è di cruciale importanza costruirne i pilastri fondanti. Ciò significa porre la massima attenzione prima di tutto sulla natura e la sicurezza dei dati stessi, responsabilità che hanno i nostri colleghi dell’IT e le figure di natura più tecnica. Ma ci sono poi gli altri pilastri, come per esempio quelli delle metodologie di utilizzo di questo prezioso patrimonio, la governance, la qualità, le modalità di costruzione delle informazioni e di rappresentazione della conoscenza.
Quando queste fondamenta sono solide e ben presidiate, allora diventa naturale promuovere, nutrire e far crescere una cultura che trova nell’idea di “data-driven company” la più efficace strategia organizzativa e di business. Il dato è l’elemento che consente di prendere decisioni e fare scelte, siano esse di natura operativa o legate a strategie di business. Quando il dato è corretto, solido, affidabile, accessibile, “parlante”... allora la cultura attorno ad esso si alimenta in maniera quasi naturale in azienda.
Certo, detto così sembra tutto facile. L’effort per arrivare a una situazione di così alto valore non è banale e implica sia risorse in termini di competenze e investimenti, sia asset in termini di strumenti, metodologie e tecnologie.
Che ruolo gioca nel cambiamento culturale l'innovazione? Cosa state facendo per introdurla e renderla parte del processo ordinario?
Qualche anno fa abbiamo avviato un percorso di innovazione, sia come Gruppo, sia come Direzione Pianificazione e Controllo, per mettere a punto un sistema unico e centralizzato di identificazione e raccolta dei dati e delle informazioni, in modo da poter essere attivi e proattivi nelle analisi di dettaglio sui dati anche senza dover richiedere sempre l’intervento dell’IT. A livello di “processi ordinari” questo significa liberare tempo e risorse in generale e dare la possibilità alle varie funzioni aziendali di farsi promotrici di innovazione.
Nella mia struttura, per esempio, il poter consultare i dati in modo autonomo e dinamico, andando a modificare parametri e modalità di costruzione delle informazioni senza il vincolo di una reportistica predefinita e preimpostata, ci permette non solo di essere molto più veloci nel fornire le risposte alle esigenze delle funzioni di business ma, al contempo, di essere proattivi nel suggerire analisi e reportistica.
Così, nel nostro processo ordinario sono entrate anche attività e fasi di sperimentazione, come quelle che stiamo dedicando per l’analisi degli use case legati all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. È così che cerchiamo di portare innovazione alla governance e al business, offrendo sempre nuove modalità per accedere a insight e conoscenza sempre più efficace e di valore per le decisioni aziendali.
Quali sono le buone pratiche che adottate per un processo virtuoso di analisi dei dati e come si scelgono le tecnologie necessarie?
Direi che la pratica principale sia una: puntare al miglioramento continuo aprendosi, anche con un po’ di curiosità, alle novità.
La condivisione delle idee, anche in modo un po’ destrutturato, è una condizione imprescindibile per il miglioramento continuo che va però poi guidato con cura. Nella scelta delle tecnologie, per esempio, la mia struttura spesso si fa promotrice di idee e proposte, da sottoporre poi al vaglio delle nostre strutture IT per una futura applicazione.
Dal punto di vista più specifico sull’analisi dei dati, le buone pratiche vanno dalla “cura” del dato stesso (come accennato, in relazione alla qualità, alla sicurezza, all’affidabilità del dato) all’utilizzo diffuso dei sistemi di intelligence, dalla BI agli Analytics più avanzati, fino all’Intelligenza Artificiale... aggiungo, sempre con quella spinta di curiosità che porta a non fermarsi alla semplice reportistica conosciuta ma al desiderio di sapere di più, di capire meglio, di costruire nuova conoscenza da condividere.
In quest’ottica, qual è la sua esperienza con SAS? In che modo gli analytics supportano lei e il suo Dipartimento a ricavare le informazioni utili al processo decisionale?
Nel nostro ruolo è di vitale importanza la tecnologia, sia per le figure con competenze più tecniche, sia per utenti non tecnici, come lo sono io. Parto dall’assunto che ormai è del tutto impensabile riuscire a fare analisi sull’enorme patrimonio di dati che abbiamo senza uno strumento potente, solido e affidabile. Senza una piattaforma ad hoc pensata appositamente per aiutare le persone a estrarre valore dai dati, sarebbe irrealistico pensare di poter offrire la possibilità di prendere decisioni supportate da elementi oggettivi e corretti.
Fatta questa premessa, posso dire che la mia esperienza è entusiasmante. Io, che non sono un tecnico, sono riuscito in poco tempo ad utilizzare la piattaforma SAS in tutte le sue funzionalità, senza necessità di un corso di formazione specifico, ma semplicemente iniziando ad utilizzarla; oggi sono quasi persino in grado di insegnare ad altri colleghi come sfruttarla al meglio delle sue potenzialità. In questo mio percorso, la data visualization e le interfacce molto intuitive hanno certamente giocato un ruolo fondamentale: io sono l’esempio concreto del fatto che se una tecnologia è ben progettata, pur essendo complessa nel suo DNA, diventa facilmente accessibile a chiunque. Ed è da questa accessibilità che deriva poi la sua massima efficacia per l’azienda ed il business.
Come si traducono al vostro interno i concetti di performance, productivity e trust?
Performance e produttività si traducono con flessibilità; quella che abbiamo raggiunto nella nostra struttura proprio grazie alle caratteristiche della tecnologia SAS (non solo in termini di potenza e prestazione ma, come accennavo, di semplicità e facilità di utilizzo). La flessibilità e la dinamicità che abbiamo, infatti, diventano gli elementi con i quali riusciamo ad essere più produttivi, e anche proattivi e promotori di innovazione.
Il concetto di trust lo traduco con l’affidabilità dei risultati, quindi anche in termini di prestazioni. Quando c’è il risultato, e questo è efficace per il business, significa che tutto ciò che lo ha prodotto è solido e valido.
20 novembre 2023
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