Education & Future
Università e impresa: un ponte per il futuro del lavoro e il tessuto economico del nostro Paese
Intervista al Prof. Giulio Vistoli, Professore Ordinario presso il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche – Università di Milano e coordinatore del dottorato in scienze farmaceutiche
Tempo di lettura: 6 min
La sinergia tra il mondo accademico e quello dell'impresa si configura ormai come un elemento cruciale per garantire ai giovani una formazione adeguata alle esigenze del mercato del lavoro. La collaborazione tra università e mondo aziendale non è più un'opzione, ma una necessità per affrontare una realtà in continua trasformazione.
In questa intervista, il Prof. Vistoli, figura di spicco nel campo della chimica farmaceutica, ci offre una visione chiara e pragmatica su come l'università possa preparare i giovani a una realtà professionale sempre più complessa, in cui devono coesistere competenze specifiche e trasversali.
Oggi l’università, pur mantenendo la sua centralità educativa, assume un ruolo economico e strategico fondamentale. È partner nello sviluppo di competenze, protagonista nell’innovazione tecnologica e attore chiave per la crescita competitiva del Paese. Giulio Vistoli Professore Ordinario presso il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche e coordinatore del dottorato in Scienze Farmaceutiche Università di Milano
La collaborazione tra mondo accademico e mondo dell'impresa è sempre più importante per preparare i giovani ad entrare nel mondo del lavoro con competenze adeguate. Quale ruolo dovrebbe svolgere oggi l'università?
Negli anni ‘90, il rapporto tra università e impresa era un’eccezione più che una prassi, spesso limitato a situazioni isolate e mediato da contatti personali o iniziative locali. In quel contesto, l’università restava ancorata principalmente alla sua missione educativa, con un’attività scientifica per lo più focalizzata su tematiche di ricerca di base. Oggi, però, la situazione è profondamente mutata: strumenti come le borse di dottorato finanziate dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e le cosiddette “borse executive”, destinate ai dipendenti aziendali, hanno istituzionalizzato la collaborazione tra ateneo e mondo produttivo.
Queste iniziative non solo rafforzano i legami tra ricerca accademica e industria, ma introducono una componente formativa applicata che consente agli studenti e ai dottorandi di acquisire competenze direttamente spendibili nel mondo del lavoro. Per esempio, le borse di dottorato prevedono periodi obbligatori di permanenza in azienda, spesso di sei mesi o un anno, durante i quali i giovani studiosi possono confrontarsi con problemi reali, acquisire strumenti operativi e contribuire attivamente all’innovazione delle imprese. Parallelamente, le borse executive rappresentano un’occasione importante per formare e valorizzare i dipendenti aziendali, che possono così sviluppare competenze avanzate e aggiornate, promuovendo un circolo virtuoso tra crescita individuale e progresso industriale.
Oggi l’università, pur mantenendo la sua centralità educativa, assume dunque un ruolo economico e strategico fondamentale. È partner nello sviluppo di competenze, protagonista nell’innovazione tecnologica e attore chiave per la crescita competitiva del Paese. Questa nuova dialettica, che coinvolge imprese e istituzioni accademiche, risponde alla necessità di allineare il percorso formativo degli studenti alle richieste del mondo produttivo, trasformando la formazione universitaria in un ponte efficace e diretto verso il mercato del lavoro.
In che modo la collaborazione con SAS contribuisce a colmare il divario tra formazione accademica e mondo industriale, preparando i dottorandi alle sfide della trasformazione digitale?
La collaborazione con SAS rappresenta un modello virtuoso di sinergia tra accademia e impresa. Lezioni di Data Science e Analytics, discipline ormai imprescindibili in un panorama lavorativo sempre più dominato dai dati e dalle tecnologie digitali, sono state erogate direttamente dagli esperti SAS.
Inizialmente, abbiamo avviato un progetto pilota riservato a un gruppo ristretto di dottorandi, con l’obiettivo di testare l’efficacia e l’interesse di una formazione di questo tipo. I risultati sono stati straordinari: non solo i partecipanti hanno dimostrato un’elevata soddisfazione, ma hanno anche riconosciuto la rilevanza di queste competenze nella loro formazione professionale e nei rispettivi ambiti di ricerca.
Forte di questo successo, quest’anno abbiamo deciso di estendere l’iniziativa a tutti i dottorandi dell’Università di Milano, registrando un incremento significativo della partecipazione: oltre 40 iscritti, con più di 30 studenti che hanno seguito l’intero percorso formativo e sostenuto con successo la prova finale. Questo risultato evidenzia quanto la domanda di competenze digitali sia crescente e sentita anche tra le nuove generazioni di ricercatori.
La collaborazione con SAS, inoltre, è particolarmente rilevante perché offre ai nostri studenti un accesso diretto a strumenti e metodologie innovativi, che difficilmente potrebbero apprendere solo tramite i corsi accademici tradizionali.
Quali sono i progetti futuri per potenziare ulteriormente questa collaborazione?
Il nostro obiettivo è rafforzare e consolidare questa sinergia, ampliando l’offerta formativa oltre il perimetro delle discipline scientifiche tradizionali. Al momento, l’iniziativa si concentra principalmente su studenti di dottorato in ambito scientifico, ma l’intento è quello di estendere questi percorsi anche a dottorandi provenienti da discipline umanistiche e interdisciplinari, poiché competenze come la Data Science sono ormai trasversali e rilevanti in moltissimi settori.
Tuttavia, la visione a lungo termine va oltre la sola formazione: miriamo a trasformare questa collaborazione in un pilastro della ricerca scientifica congiunta. L’integrazione di tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale e le tecniche di analisi dei big data, può giocare un ruolo cruciale soprattutto nei processi di discovery farmaceutica, dove l’uso della modellistica computazionale permette di simulare e analizzare migliaia di molecole in modo rapido ed efficace.
Questi strumenti consentono di velocizzare enormemente le fasi iniziali della ricerca, individuando con maggiore precisione le molecole più promettenti e riducendo i fallimenti nella fase sperimentale. Questo significa non solo un risparmio significativo di tempo e risorse, ma anche un miglioramento complessivo dell’efficienza e dei risultati ottenuti.
L’auspicio, quindi, è che il rapporto con realtà come SAS diventi sempre più strutturato e multidimensionale: un percorso condiviso di formazione e innovazione, in cui l’università e l’impresa lavorano insieme per affrontare le grandi sfide della ricerca scientifica e della trasformazione digitale. È proprio questa contaminazione tra competenze accademiche e applicazioni industriali a rappresentare la vera chiave per innovare e generare valore a beneficio della società nel suo complesso.
Con questo sguardo proteso al futuro dei giovani, quali sono secondo lei le competenze imprescindibili che devono maturare, oltre a quelle specifiche del settore? Che consigli si sentirebbe di dare loro?
Oggi non possiamo più limitarci a formare professionisti con competenze strettamente specialistiche. È essenziale integrare nel percorso formativo conoscenze interdisciplinari che permettano di affrontare un contesto lavorativo sempre più complesso e interconnesso. Un esempio evidente è rappresentato dalla Data Science: anche per chi studia discipline tradizionalmente scientifiche come chimica farmaceutica o medicina, la capacità di interpretare, analizzare e gestire grandi quantità di dati è diventata una competenza imprescindibile. Questi strumenti non sono più un valore aggiunto, ma una necessità concreta.
Parallelamente, padroneggiare l’inglese è altrettanto fondamentale: non è solo la lingua della ricerca accademica e scientifica internazionale, ma anche lo strumento principale per dialogare e collaborare con realtà globali. Essere competenti in inglese non significa semplicemente saper leggere un articolo o scrivere una tesi, ma saper comunicare in modo efficace in contesti professionali e interdisciplinari.
In questo scenario, l’università deve fare la sua parte, proponendo opportunità formative mirate e aggiornate per rispondere a queste nuove esigenze. Tuttavia, la responsabilità non è solo delle istituzioni: gli studenti devono essere proattivi. Viviamo in un’epoca in cui l’accesso alla conoscenza è più facile che mai, grazie a piattaforme online, corsi specializzati e risorse gratuite disponibili ovunque. Acquisire competenze trasversali, come quelle digitali, non può essere delegato interamente al percorso accademico: è una scelta personale di curiosità, adattamento e crescita continua, caratteristiche che il mondo del lavoro oggi premia e ricerca con sempre maggiore attenzione.
Il consiglio più importante che vorrei quindi lasciare è forse il più semplice: seguire le proprie passioni. Scegliere un percorso universitario significa intraprendere un cammino che richiede anni di studio, impegno e sacrificio, e non c’è niente di peggio che investire tempo ed energie in qualcosa che non entusiasma. La passione non solo aiuta a superare le difficoltà che inevitabilmente si incontrano, ma rende il percorso stesso più stimolante e, soprattutto, sostenibile nel lungo termine. Il consiglio pratico che invece suggerisco è: acquisire le basi della Data Science perché è ormai trasversale a qualunque tipo di professione.
13 gennaio 2025
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