Education & Future
Dai Big Data all’Intelligenza Artificiale, preparare i giovani al futuro sempre più digitalizzato
di Simone Borra, professore di Statistica alla Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, direttore del Master di II Livello CESMA
I Big Data sono entrati nel lessico comune, anche dei giovani, ma la consapevolezza di cosa implichi il lessico e del “cosa c’è dietro”... quella è tutta un’altra storia.
Inizia con queste riflessioni il nostro incontro con Simone Borra, professore di Statistica alla Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, e direttore del Master di II Livello CESMA (Customer Experience, Statistics, Machine Learning & Artificial intelligence), che ci dice: “nonostante siano nativi digitali, noto nelle generazioni di giovani studenti che arrivano oggi all’Università delle forti carenze di conoscenza delle tecnologie, questo perché i ragazzi ne sono utilizzatori passivi. Sono, come tutti noi, consumatori passivi di Big Data e produttori involontari e inconsapevoli di grandi moli di dati”.
Qualunque strada decidano di intraprendere gli studenti di oggi, sono convinto che tutti debbano avere almeno un’infarinatura generale di analisi dei dati, statistica, informatica. Non significa diventare tutti ingegneri o economisti, ma ampliare la propria base di conoscenza e competenza perché oggi il vantaggio deriva dalle basi di coding e di Data Science. Simone Borra Professore di Statistica alla Facoltà di Economia Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Le competenze e le professioni oggi più “appealing” hanno a che fare con i Big Data?
Parlo di Big Data perché è da lì che partono una serie di trasformazioni, dalla più generica e abusata trasformazione digitale all’Industry 4.0, passando per la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni per la quale il PNRR prevede ingenti investimenti
Da oltre dieci anni collaboro con un collega all’Osservatorio sul Management Consulting di Assoconsult (l’Associazione delle Imprese di Consulenza e Management di Confindustria) che evidenzia molto chiaramente come negli anni il core della consulenza per le imprese si sia spostata dal management alle tematiche che ruotano intorno alla trasformazione digitale.
È chiaro, dunque, che la domanda di competenze e professioni si sta spostando in quella direzione, con forti specializzazioni richieste in campi come Intelligenza Artificiale/Robotica e Cyber Security, e la Data Science come pilastro fondamentale grazie alla quale sviluppare altre competenze specialistiche. Io non so dire se sono le più “appealing” (per me lo sono) ma posso dire per certo che la loro richiesta è in forte crescita e nei prossimi anni lo sarà ancor di più perché fondamentali per la risoluzione di problemi complessi come la transizione energetica e la lotta ai cambiamenti climatici, lo sviluppo delle Smart City, nonché le grandi sfide dell’Agenda 2030.
Qual è il percorso intrapreso dal mondo accademico per creare sempre più sinergie con il mondo del lavoro a favore dei giovani?
Il primo grande sforzo avviene per l’avvicinamento alle materie STEM, soprattutto da parte del genere femminile (la cui presenza nelle facoltà legate a Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica, purtroppo è ancora oggi in percentuale molto ridotta rispetto alla presenza maschile), perché queste competenze saranno sempre più necessarie e richieste dalle imprese. È in questi ambiti che ci saranno le maggiori chance di occupazione.
La seconda direttrice sulla quale si stanno creando sinergie tra mondo accademico e il mondo delle imprese riguarda la formazione agli studenti. Spesso i tempi per sviluppare nuovi corsi accademici, trovare le risorse e far approvare i piani di studi sono piuttosto lunghi; tempi che mal si conciliano con la velocità con la quale cambiano le richieste di professionisti da parte delle aziende. Per mitigare il gap (e il rischio di far uscire dall’Università competenze che per le aziende risultano già obsolete), la formazione accademica si avvale sempre più spesso del supporto di professionisti esterni, imprenditori o manager che lavorano nelle grandi aziende, che integrano il percorso di studi con lezioni volte ad arricchire le competenze degli studenti in linea con quanto poi richiederà loro il mondo del lavoro.
Questa sinergia tra mondo accademico e imprese diventa ancora più forte poi nei Master di I e II Livello il cui obiettivo è garantire delle specializzazioni formative in linea con il reale contesto lavorativo, ossia in linea con quanto le aziende chiedono poi ai candidati. Spesso i Master vengono “costruiti” in stretta collaborazione con le aziende private che poi mettono a disposizione i loro professionisti per la docenza.
C’è poi un'ulteriore “formula” di sinergia data dall’incubatore di startup, ambiente nel quale aziende e professionisti aiutano i giovani a dare forma e vita alle proprie idee e progetti imprenditoriali.
Insomma... le iniziative non mancano!
Quale suggerimento darebbe ai suoi studenti in questo momento?
Ciò che noto, con un po’ di rammarico, è che spesso molti giovani, non tutti ovviamente, si informano male e si fermano alla prima proposta, di percorso accademico, di Master o di colloquio che sia. Fanno poca ricerca e la prima cosa che trovano che assomiglia un po’ all’idea che avevano in mente diventa la scelta finale.
Quindi il primo consiglio che mi sento di dare loro è: “scavate, andate a fondo e cercate più opzioni, mettetevi di fronte a più scelte possibili in modo da poter approfondire e fare quindi poi la scelta finale con più consapevolezza. Anche nella ricerca del lavoro... so che fare tanti colloqui può demoralizzare, ma può anche diventare una ricchezza ed insegnarvi a scegliere meglio. Non è il costo che fa il valore. In un colloquio, anche voi potete scegliere e dire di no”.
Il secondo riguarda le competenze. Qualunque strada decidano di intraprendere gli studenti di oggi, sono convinto che tutti debbano avere almeno un’infarinatura generale di analisi dei dati, statistica, informatica. Non significa diventare tutti ingegneri o economisti, ma ampliare la propria base di conoscenza e competenza perché se un tempo conoscere l’inglese era un plus (oggi si dà per scontata la conoscenza della lingua, semmai è un plus conoscerne altre), oggi il vantaggio deriva invece dalle basi di coding e di Data Science (come base di conoscenza logica, non serve essere tutti programmatori informatici o data scientist).
Qual è la sua definizione di curiosità e di innovazione? Come descriverebbe la relazione tra le due?
La curiosità è “lo scatto” che avviene quando qualcosa mi sorprende, dalla sorpresa si innesca un desiderio di sapere, capire, approfondire... ecco quello scatto, quel desiderio per me è la curiosità. E non è detto che sia sempre in accezione positiva, la curiosità può essere anche qualcosa di negativo, a volte.
L’innovazione è un binario che a volte è vicino alla curiosità, a volte è più vicino all’evoluzione tecnologia. In questo secondo caso suscita meno curiosità, ma è pur sempre innovazione. Pensiamo ai telefoni cellulari, hanno destato curiosità all’inizio, oggi invece sono oggetti dei quali si attende periodicamente l’innovazione tecnologica ma senza più suscitare, per lo meno in me, quel meccanismo di curiosità di cui accennavo.
La relazione causa-effetto in realtà potrebbe anche avvenire al contrario, ossia la curiosità innesca desiderio di creazione di qualcosa di nuovo che quindi genera innovazione.
31 marzo 2022
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