Open data: la Pubblica amministrazione si rinnova
in ottica customer experience
Di Gianluigi Cogo, docente del corso ‘Gestione dei Dati Digitali’ all'Università Ca' Foscari di Venezia
Partire dal dato e dalla sua analisi, condividere risultati e necessità con tutti gli stakeholder con il duplice fine di rispondere alle esigenze dei cittadini e diventare una data-driven government
È ormai un concetto universalmente riconosciuto dalle Pubbliche amministrazioni: gli open data sono uno strumento fondamentale a servizio della trasparenza. Ora mettiamoli anche a servizio degli utenti finali: cittadini e imprese, e proviamo a farli utilizzare per estrarne valore.
A dirlo è il professore Gianluigi Cogo, docente del corso ‘Gestione dei Dati Digitali’ all'Università Ca' Foscari di Venezia. "Sugli open data nella PA ci sono due linee di pensiero: c'è chi li considera fondamentali per la trasparenza della Pubblica Amministrazione, in quanto consentono un maggior accesso alla conoscenza e alla gestione del bene pubblico; e c'è chi considera gli open data un consistente patrimonio digitale la cui messa a disposizione in forma libera, pubblica e gratuita, va finalizzata alla crescita economica e sociale, rendendo la PA un abilitatore di mercato. Questa accezione è decisamente più innovativa: richiede il superamento di ostacoli culturali per arrivare al data-driven government".
Qual è la sua definizione di governo data-driven?
Semplice: il dato disegna le politiche. Se vogliamo essere meno sintetici, il dato è lo strumento di qualità che sostiene l'elaborazione delle proposte e l'azione concreta, nutrendo le politiche della PA di una base 'scientifica'. Il dato evidenzia in modo analitico e scientifico la domanda di servizi e i bisogni puntuali di cittadini e imprese. Gli anglosassoni lo chiamano 'government-to-business': l'analisi dei dati favorisce la crescita del territorio e in questo processo la PA funge da abilitatore.
I dati possono trasformare la PA anche in una piattaforma di servizi al cittadino, secondo il modello 'government-as-a-platform'. In ogni caso, la PA fornisce informazioni affidabili che servono a costruire servizi utili e facili da usare.
Gli open data sono un patrimonio la cui analisi va finalizzata alla crescita economica e sociale, rendendo la PA un abilitatore di mercato
Che cosa serve alla PA italiana per
diventare data-driven?
Occorre proseguire sul percorso di modernizzazione. La PA deve accelerare sul cambiamento fondando la progettazione dei servizi in base alle indicazioni fornite dai dati ('designing with data') e continuando sulla linea dello snellimento dei compiti. Facendo meno, non di più, per esempio, mettendo a disposizione i dati ma non realizzando le applicazioni, che possono essere affidate ad esperti esterni.
Finora l'informatica della PA italiana ha cercato di occuparsi di tutto, ma questo metodo si è rivelato dispendioso in termini di costi e di tempi, creando a volte una sovrapposizione di applicazioni non interoperabili e aggiornate con le richieste di cittadini e imprese. Lo sviluppo applicativo non fa parte delle attività 'native' della PA: allora ribaltiamo il metodo, partiamo dall'esigenza finale - meno fogli di carta e file agli sportelli e più operazioni che si compiono in pochi click da computer o da mobile, che magari includono il pagamento digitale o l'assistente virtuale.
Costruire servizi a partire da ciò che serve all'utente finale e collaborare
con l'ecosistema dell'innovazione. Il ruolo della PA resta centrale?
Certo, e viene rilanciato proprio dagli open data che garantiscono la rispondenza del servizio a quanto chiede l'utente. La PA ha un bacino di dati di enorme volume e valore con il quale può costruire la customer experience in una molteplicità di settori, come turismo, cultura, trasporti, ambiente, salute, scuola. Una PA che si concentra sull'offerta di dati di qualità, vero strumento per la creazione di valore e crescita, lasciando lo sviluppo delle app ad altri, genera un vantaggio generale: da un lato la PA modernizza i suoi servizi e le sue competenze riducendo i costi; gli utenti ottengono servizi rilevanti perché basati su dati rilevanti. E in linea con le loro aspettative.
Ci può fare un esempio concreto di come la PA può svolgere il suo ruolo di "abilitatore" fondato sui dati e finalizzato a un miglior servizio al cittadino, magari nella sua città, Venezia?
Il settore del turismo può fornirci un ottimo modello. Se i dati dicono che a Venezia è previsto un super afflusso di turisti nei mesi di luglio e agosto con conseguente affollamento dei mezzi pubblici, si genererà una quantità di rifiuti maggiore, si creeranno situazioni di overbooking negli esercizi di accoglienza, ecc.
Le politiche e le decisioni vanno quindi prese basandosi sulla ‘verità del dato’. Intendo dire: la generazione e l'utilizzo del dato non devono restare nell'ambito esclusivo del decisore politico, ma coinvolgere tutti i “portatori d'interesse”, nel caso specifico enti pubblici, imprese del turismo, residenti, turisti. In questo modo gli open data rappresentano un'opportunità democratica.
Il dato nutre le politiche della PA di una base 'scientifica', e l’analisi del dato ci rivela quali sono le richiesta da parte di cittadini e imprese
Le nuove tecnologie come mobile, intelligenza artificiale e machine learning aiuteranno?
Sì, le app, i dati in cloud, gli assistenti digitali intelligenti vanno benissimo, ma solo se finalizzati al miglioramento della user experience e se non nascono da un mero intervento 'cosmetico' nei sistemi della PA. Spesso le app o le soluzioni basate sul machine learning non sono native ma innestate su sistemi legacy e questo è un ostacolo enorme all'erogazione di un'esperienza utente ottimale: tecnologie come AI e machine learning non si possono impiantare su vecchi sistemi, occorre riprogettare da zero. È lo stesso errore che si fa quando si trasferisce sui social il linguaggio che adottiamo nelle email: non funziona. Solo una PA sempre nuova e aggiornata può offrire ai suoi utenti/cittadini il tipo di servizi, interazione e esperienza che risponde alle loro esigenze.
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